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La Madonna di Medjugorje schierata con i frati ribelli
di Marco Corvaglia
Il sostenitore di Medjugorje Saverio Gaeta intitola "I veri motivi dell'ostilità dei due vescovi di Mostar" il nono capitolo del suo libro Medjugorje. La vera storia (San Paolo, 2020).
La tesi è quella di una presunta ostilità preconcetta nei confronti dei francescani, per la cosiddetta "questione erzegovinese".
Nello specifico, la vera prova di questa ostilità sarebbe nel modo deciso in cui il vescovo Žanić gestì il caso dei frati ribelli di Mostar Ivica Vego e Ivan Prusina, e nel modo "esorbitante" - secondo Gaeta - in cui il suo successore, mons. Ratko Perić (in carica dal 1993 al 2020), si è espresso quando si è trovato a commentare tale contrasto, pur avendo "ben presente la conclusione della vicenda" [S. Gaeta, Medjugorje. La vera storia, Edizioni San Paolo, 2020, p. 140].
Senza ripetere in cosa consista la cosiddetta "questione erzegovinese", limitiamoci a dire, in estrema sintesi che, per motivazioni storiche ben note, le parrocchie dell'Erzegovina (diocesi di Mostar-Duvno) sono in parte assegnate al clero diocesano e in parte ai francescani (quella di Medjugorje rientra tra queste ultime). Il vescovo diocesano, quando deve operare dei trasferimenti di frati, li concorda con il Provinciale francescano.
Nel 1975, papa Paolo VI aveva approvato il decreto Romanis Pontificibus con cui si stabiliva, tra l'altro, quanto segue:
6. La parrocchia di Mostar, fino ad ora completamente affidata alla cura pastorale dei francescani, secondo l'accordo raggiunto tra le due parti, sarà divisa entro un anno e nel frattempo una parrocchia della cattedrale sarà costituita su un territorio separato per essere affidata al clero diocesano.
L'attuazione effettiva del provvedimento in questione cominciò pochi mesi prima dell'inizio delle "apparizioni" di Medjugorje. In quel momento, due giovani frati di Mostar, Ivan Prusina e Ivica Vego, si ribellarono alla riduzione delle dimensioni della loro parrocchia francescana e al conseguente trasferimento disposto per loro.
Ivica Vego, il 19 dicembre 1981, andò a Medjugorje per chiedere consiglio alla Madonna tramite la "veggente" Vicka.
Da quel momento iniziò (e durò per due anni) una lunga serie di messaggi della Gospa (Madonna di Medjugorje) a favore dei due frati ribelli e contro il vescovo.
Il 29 gennaio 1982 arrivò per Vego e Prusina la sospensione a divinis, la riduzione allo stato laicale (sancita dalla vaticana Congregazione per i religiosi) e l’espulsione dall’Ordine francescano (sancita dalla Curia generalizia di Roma).
I due frati presentarono ricorsi alle autorità vaticane, ma non ottennero risposta.
Alla fine, il solo Ivan Prusina presentò ulteriore ricorso alla Segnatura Apostolica (supremo tribunale vaticano).
Ivica Vego, invece, nel frattempo aveva rinunciato alla vita religiosa, avendo avuto un figlio da una suora di Mostar, di nome Leopolda, conosciuta nella rivendita ufficiale di souvenir di Medjugorje, in cui entrambi prestavano servizio [cfr. anche R. Laurentin, Dernières nouvelles de Medjugorje, n. 13, OEIL, 1994, p. 49].
Nel 1993 arrivò la sentenza. Scrive Saverio Gaeta:
La sentenza [...] riconobbe che la pena inflitta ai due frati era in contrasto con il Diritto canonico e quindi dichiarò invalide la loro espulsione dall'Ordine e la riduzione allo stato laicale.
In sostanza, quell'affermazione che il provvedimento del vescovo era "esagerato" venne riconosciuta corretta.
[Gaeta, Medjugorje. La vera storia, cit., p. 140]
Qualche pagina prima, Saverio Gaeta aveva anche sottolineato come, in alcuni messaggi della Gospa, il vescovo, che aveva dato il via ai provvedimenti disciplinari, fosse stato definito "precipitoso" [cfr. ivi, pp. 137-138].
*****
Come prima osservazione, si può notare che i "messaggi" trasmessi da Vicka non si limitano certo ad imputare al vescovo fretta o esagerazione (e non si tratta di fatti sporadici).
19 dicembre 1981:
Ho fatto una domanda alla Madonna sul problema dell’Erzegovina, in particolare per quanto riguarda padre Ivica Vego. La Madonna ha detto che per questi disordini il più colpevole è il vescovo Žanić, riguardo a fra Ivica Vego ha detto che egli non è colpevole, ma che il vescovo ha in mano tutto il potere.
Gli ha detto di rimanere a Mostar e di non andarsene di lì.
[Ogledalo Pravde. Biskupski ordinarijat u Mostaru o navodnim ukazanjima i porukama u Međugorju (La Curia diocesana di Mostar sulle presunte apparizioni e messaggi di Medjugorje), Mostar, 2001, p. 75]
3 gennaio 1982:
Il vescovo non fa ordine e per questo è colpevole. E poi non sarà sempre lui il vescovo. Io mostrerò la giustizia in paradiso.
[Ivi, pp. 75-76]
15 aprile 1982, ai due francescani ribelli:
Non ubbidite a nessuno! Non rimproverate nulla a voi stessi, e – quel che è importante – non andate via da Mostar.
[Ivi, p. 77]
All'inizio del 1983, un gesuita sloveno, padre Radogost Grafenauer, ebbe occasione di parlare direttamente con Vicka e Marija, registrando le conversazioni e lasciandone copia alla parrocchia di Medjugorje e al vescovo Žanić.
Ecco un brano del colloquio con Vicka:
Grafenauer: Hai detto al vescovo che lui è da biasimare e che quei due [Vego e Prusina] sono innocenti e possono esercitare le loro mansioni sacerdotali?
Vicka: Sì.
Grafenauer: Possono ascoltare le confessioni? La Madonna ne ha parlato?
Vicka: Sì.
Grafenauer: Se la Madonna dice questo e il papa dice che non possono…
Vicka: Il papa può dire quello che vuole: io dico le cose come stanno [originale: Nek Papa govori, ja kažem onako kako jest].
[Ivi, pp. 22-23]
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Quando ha dovuto giustificare i "veggenti", Laurentin ha sempre alzato delle "cortine fumogene" di parole. Scrive Saverio Gaeta, a commento del caso in questione:
Qui come in altri casi può valere la complessiva riflessione di monsignor Laurentin: «Queste risposte su un problema che non li riguardava appartengono ai primi mesi di Medjugorje; i veggenti erano appena usciti dall'infanzia».
[Gaeta, Medjugorje. La vera storia, cit., p. 139]
E qui interrompo la citazione per un attimo: Vicka, che è quella che avrebbe ricevuto i messaggi in questione, aveva 17 anni compiuti quando tali messaggi sui frati ribelli iniziarono e 19 quando finirono (a parte il piccolo Jakov, gli altri veggenti erano più piccoli di lei di circa un anno; due nel caso di Ivanka).
Proseguiamo con la citazione da Laurentin:
«Facevano ingenuamente l'esperienza delle loro prime comunicazioni straordinarie e nello stesso tempo molto familiari con la Gospa. Trasmettevano alla Madonna ogni sorta di domande, senza vagliarle, e gliene facevano essi stessi come fa un bimbo che balbetta con sua madre. La Gospa li ha più volte ripresi per questo. Ha impiegato diversi mesi per far loro capire che non era un'impiegata allo sportello del cielo, incaricata di soddisfare qualunque curiosità, e che lo scopo delle apparizioni era ben diverso, poiché il messaggio si collocava a ben altro livello. Quando i veggenti capirono questo e, tramite loro, se ne resero conto anche coloro che li interrogavano, domande di questo genere non vennero più fatte. L'episodio attesta quindi una transizione pedagogica che deve essere considerata in tutta la sua relatività. I veggenti non hanno più chiesto niente su questo problema dopo il gennaio 1984»
[Ibidem]
Ma il problema non è costituito dalle domande dei veggenti. E' costituito dalle risposte della Gospa...
*****
Alla tesi secondo cui la sentenza della Segnatura avrebbe sconfessato l'operato di mons. Žanić, fornì una risposta nel 1996 il vicario Generale della Curia di Mostar, don Luka Pavlović, con una nota pubblicata in Vrhbosna, Bollettino Ufficiale delle Diocesi della Metropolia di Sarajevo n. 2/1996 (p. 142) e poi sul già più volte citato Ogledalo Pravde (pp. 81-82). Le citazioni seguenti provengono tutte dalla nota in questione, intitolata "Biskup se nema za što ispričavati" (Il vescovo non ha di che scusarsi).
Il 18 febbraio 1985 i due frati avevano presentato ricorso in Vaticano presso la Congregazione per i Religiosi, cioè la stessa autorità che aveva emanato nei loro confronti il provvedimento di riduzione allo stato laicale (a seguito della richiesta del vescovo di Mostar e dell’emanazione del decreto di dimissione, da parte dell'Ordine francescano).
Come abbiamo accennato prima, a questo ricorso non venne dato seguito da parte delle autorità.
Scrive don Luka Pavlović:
[La Congregazione per i Religiosi (che nel frattempo aveva preso il nome di Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, nda)] non ha risposto al ricorso, perché ha ritenuto opportuno appoggiarsi alla clausola, contenuta nel Decreto di dimissione [emanato dall’ Ordine francescano, nda], secondo cui non sarebbe stato concesso l’appello ai Tribunali maggiori della Santa Sede.
Si è fidata di questo perché ha interpretato le decisioni del Papa circa la dimissione dall’Ordine nel modo più ampio. E in questo ha perso. Tutti hanno diritto alla difesa (can. 1620, 7). Non ha badato alla querela nullitatis di fra Ivan.
Quanto all’intervento del vescovo Žanić e alla sua richiesta di riduzione allo stato laicale nei confronti di Ivan Prusina, presentata il 7 gennaio 1983, nella stessa nota viene evidenziato quanto segue:
[Nella sentenza della Segnatura] non è affatto posto il dubium circa la validità o non validità della richiesta del Vescovo, ma solo circa il modus procedendi et decernendi [modo di procedere e deliberare, nda] della Congregazione per i Religiosi riguardo al Decreto dell'Ordine.
[…] Il vescovo Žanić viene ricordato più volte nella Sentenza, e tutte le volte il suo giudizio, il suo parere e la sua denuncia vengono ritenuti di competenza. Rimangono in vigore le decisioni del Vescovo circa la negazione delle facoltà sacerdotali, riguardo alle attività pastorali di fra Ivan Prusina nella Diocesi prima e dopo la dimissione, ed anche dopo che la dimissione è dichiarata illegittima.
In sostanza, la nota della curia di Mostar argomenta che non vi è stata nessuna irregolarità nella privazione delle facoltà sacerdotali, sancita da mons. Žanić (un iter formalmente non corretto è stato invece seguito dal dicastero vaticano della Congregazione per i Religiosi, nel sancire la riduzione allo stato laicale).
Marco Corvaglia
Articolo pubblicato il 16 luglio 2020 e
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