Ricostruire la realtà
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Il sito di Marco Corvaglia
Sindone: un'iconografia tardomedievale e occidentale
di Marco Corvaglia
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Il soggetto dell'immagine​​​
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La Sindone di Torino comparve a Lirey, nel Nord della Francia, nel 1355-1356.
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Quando la Sindone comparve a Lirey, la rappresentazione artistica delle sofferenze della Passione costituiva un tema di diffusione relativamente recente (fino all'XI-XII secolo Cristo era stato sempre raffigurato trionfante sulla croce, senza corona di spine, con il corpo e il capo ritti, anche nei rari casi in cui gli occhi apparivano chiusi).
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Uno dei principali specialisti europei dell'iconografia di Gesù, il domenicano François Bœspflug, professore emerito dell'Università di Strasburgo, scrive:
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Nel XII secolo [...] si constata in effetti una sottolineatura sino ad allora inedita della sofferenza del Cristo durante la sua Passione. È per così dire l'atto di nascita del patetico nell'arte cristiana - e qui è l'Oriente ad essere pioniere.
[François Bœspflug, Dieu et ses images. Une histoire de l'Éternel dans l'art, Bayard, 2017, p. 134]
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Due esempi delle nuove tendenze iconografiche bassomedievali: mosaico del monastero di Hosios Lukas in Focide, XI secolo: il capo di Cristo è reclinato a destra, il corpo arcuato, il sangue scorre dalle cinque ferite legate alla crocifissione; Akrà tapinosis (Grande Umiliazione), seconda metà del XII secolo (Museo delle Icone, Kastoria, Macedonia greca).
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Inoltre, a partire dal XII secolo, si diffusero rappresentazioni del Cristo morto e disteso sul lenzuolo funebre.
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Epitaphios (tipo di velo liturgico) del re di Serbia Stefan Uros II Milutin, c. 1321 (Museo della Chiesa Ortodossa Serba di Belgrado).
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​​​​I sindonologi non possono fornire prove dell'esistenza della Sindone prima della seconda metà del XIV secolo, ma (come abbiamo visto a proposito del Codice Pray) congetturano che proprio la Sindone possa essere stata all'origine di tali nuove tendenze iconografiche [si veda ad esempio: A. Caccese, E. Marinelli, L. Provera, D. Repice, Il Mandylion a Costantinopoli (anche disponibile online), in E. Marinelli (a cura di), Nuova luce sulla Sindone, Ares, 2024, pp. 107-113].
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In assenza di conferme storiche di altro tipo, questo significa però utilizzare un'argomentazione circolare, che pone come premessa quella che in realtà è la tesi che dovrebbe essere dimostrata (l'esistenza della Sindone prima della sua comparsa nella seconda metà del XIV secolo).
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​​​​La cronologia degli eventi storicamente accertati impone invece di partire dall'ipotesi che la Sindone stessa sia espressione e sviluppo di quelle tendenze iconografiche.
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​Secondo la più nota sindonologa divulgatrice italiana, Emanuela Marinelli, "le ricerche e le analisi eseguite sulla reliquia hanno escluso, con certezza assoluta, ogni ipotesi di una fabbricazione con mezzi artistici" [L. Zerbini, E. Marinelli, La Sindone. Storia e misteri, Odoya, 2017, p. 155].
​Sarà così quando lo si leggerà, alla voce "Sindone", nelle enciclopedie di riconosciuta affidabilità (e si tenga presente che l'ultimo esame diretto delle caratteristiche dell'immagine sul telo risale al lontano 1978).
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​Nel frattempo, è fondamentale vedere se un'analisi storico-iconografica rigorosamente documentata e comprensibile a tutti rafforza oppure contrasta certe affermazioni autenticiste di natura apparentemente scientifica, alle quali la persona non specialista può aderire solo con un puro atto di affidamento e fiducia.
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Sangue e piaghe
Cominciamo con il notare che tutte le immagini che secondo l'ipotesi dei sindonologi sarebbero le più immediate derivazioni della Sindone (le raffigurazioni del Cristo morto nella Cristianità orientale) sono in realtà prive dell'elemento che più caratterizza la Sindone, cioè la presentazione del Cristo flagellato.
Sul telo sindonico, infatti, ci sono più di cento segni di percosse e sevizie, su tutto il corpo (sulla fronte e sulla nuca non sono visibili ferite bensì rivoli di sangue che i sindonologi interpretano come effetto di una corona di spine a forma di casco, ma il dato non sembra certo, in quanto anche una corona circolare, se larga, scenderebbe sulla nuca; nelle regioni soprascapolari e scapolari, destra e sinistra, sembrano esserci segni di escoriazioni da collegare al trasporto della croce, tutta intera, prima su una spalla e poi sull'altra [cfr. M. Bevilacqua, G. Fanti, M D'Arienzo, New Light on the Sufferings and the Burial of the Turin Shroud Man, "Open Journal of Trauma", 1, Maggio 2017, pp. 48-49]).​
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E o​​ra domandiamoci: quando e dove si diffonde, invece, la rappresentazione artistica del Cristo flagellato?
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Proprio lì dove, in seguito, comparirà la Sindone.
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​​Vediamo di approfondire e chiarire questo punto di fondamentale importanza, che sin ora non ha ricevuto l'attenzione che meritava.
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Bisogna premettere che i vangeli fanno riferimento alla flagellazione precedente alla crocifissione ma non la descrivono [Mt 27, 26; Mc 15, 15; Gv 19, 1].
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Opportunamente, il professor Andrea Nicolotti (in un suo articolo accademico in cui evidenzia quanto siano incerte le nostre conoscenze in merito ai flagelli romani e medievali) ha riaffermato l'attualità di quanto scriveva tre secoli fa Prospero Lambertini, futuro papa Benedetto XIV:
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Non si legge nei Sacri Evangelisti, se Gesù fosse flagellato colle verghe, o sia coi rami d’ alberi insieme legati, o pure coi staffili, e colle funi, se nudo, o vestito fosse legato alla Colonna, quanti fossero i flagellanti, e di qual Nazione; e quanti fossero i colpi, coi quali il Sacro Corpo fu battuto.
[Prospero Lambertini, Annotazioni sopra le Feste di Nostro Signore e della Beatissima Vergine, Longhi, Bologna 1740, vol. I, pp. 204-205; cfr. A. Nicolotti, Il flagello di Gesù e il flagello romano: evidenza storica e archeologica, originariamente pubblicato nel "Journal for the Study of the Historical Jesus", vol. 15, n. 1, 2017, pp. 1-59]
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Da tutto ciò consegue che una rappresentazione dei segni della flagellazione avrebbe dovuto basarsi sulla libera ispirazione dell'artista, il che era estraneo al modo in cui l'icona religiosa era considerata in Oriente.
Lo specialista professor Piergiuseppe Bernardi osserva che le icone orientali, "contrariamente ai dipinti a soggetto religioso nati in contesto occidentale, non vengono mai firmate dai loro autori", in quanto "risulta assai poco determinante il loro costituirsi come frutto di una creatività inevitabilmente soggettiva" [P. Bernardi, I colori di Dio, Bruno Mondadori, 2007, p. 80].
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In Occidente, invece, il manufatto artistico-religioso "troverà nella fantasia dell'artista un'alleata estremamente utile" [ivi, p. 97].
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​​Per questi motivi, solo e unicamente in Occidente, come stiamo per vedere, ci si spinse oltre la semplice rappresentazione del Cristo morto (eventualmente trafitto dai chiodi e dalla lancia) e, tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, si diffuse la rappresentazione artistica dei segni della flagellazione e delle sofferenze ad essa legate.
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In verità, il sindonologo Thomas de Wesselow, per quattro anni ricercatore universitario di Storia dell'arte presso il King's College di Cambridge (ora dedito a tutt'altra professione), in un suo libro originariamente pubblicato in inglese e poi tradotto in italiano, tedesco, francese, portoghese e olandese, scrive che la flagellazione che si vede sul Cristo della Sindone
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non trova corrispondenza nelle rappresentazioni medievali. Infatti, nella maggior parte dei dipinti di questo periodo, non sono presenti segni di frustate. Forse per non togliere importanza alle ferite nelle mani, nei piedi e nel fianco, ritenute più significative. Oppure perché si riteneva che si trovassero soltanto sulla schiena. Talvolta Cristo viene raffigurato con il corpo sanguinante, ma l'effetto finale è sempre meno crudo. Nel dipinto di Duccio di Buoninsegna, per esempio, compaiono soltanto rivoletti di sangue diffusi su tutto il corpo, comprese le braccia, ma non sulle gambe.
Di conseguenza, attribuire i segni delle frustate presenti sulla Sindone ad artisti medievali è completamente ridicolo.
[Thomas de Wesselow, Sindone segreta: l'ultima sensazionale indagine, Piemme, 2015, p. 120]
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​Più avanti de Wesselow aggiunge:
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Gli artisti medievali non erano in grado di rappresentare Cristo in modo così realistico, né ci tenevano a farlo. Il suo volto, segno inalterabile di divinità, rimaneva perfetto anche dopo la passione, mentre quello della reliquia rivela chiari segni di ferite.
[Ivi, p. 134]
​La realtà documentabile è completamente diversa.​​
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Il volto di Cristo in due crucifixi dolorosi (si veda più avanti) dell'inizio del XIV secolo: St. Maria im Kapitol, Colonia, Germania (c. 1300) e Cathédrale Saint-Jean-Baptiste, Perpignan, Francia (1307).​​​​
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De Wesselow mette nello stesso calderone tutta l'arte medievale, senza distinguere l'Oriente dall'Occidente, l'Europa meridionale da quella settentrionale.
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​​A noi interessano le rappresentazioni artistiche della prima metà del XIV secolo nell'area geografica (l'Europa centro-settentrionale) in cui comparve la Sindone. ​​​​
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Se si assume questa prospettiva (l'unica corretta, come è evidente), i risultati dell'analisi vengono completamente capovolti.
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Il professor Flavio Caroli evidenzia che nell'Oriente cristiano il tema della Passione viene affrontato "sempre con una lontananza ieratica e asettica che ignora il dramma della carne" [F. Caroli, Il volto di Gesù, Arnoldo Mondadori Editore, 2009, p. 25], mentre "in Occidente, il tema viene affrontato con brutale intensità, e straordinaria commozione" [ivi, p. 26].
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Si può quindi parlare, da questo punto di vista, di "vie totalmente divergenti dell'arte cattolica (e poi protestante) occidentale e di quella ortodossa orientale" [ibidem].
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Non è un caso che proprio nella seconda metà del XIII secolo siano nati, in Italia, i movimenti dei Flagellanti,
i cui seguaci volevano rivivere nella propria carne le sofferenze di Cristo: questo rimase sempre e solo un fenomeno occidentale.
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​​Nella Cristianità occidentale deve poi essere operata un'ulteriore distinzione tra il Nord e il Sud.
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Osserva Caroline Walker Bynum, medievista di Harvard e della Columbia University:
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Il "realismo brutale" e l'espressionismo dell'arte del Nord con i suoi corpi piegati, le vene in evidenza e le strisce di sangue non ha eguali nella più misurata sofferenza nelle immagini del Sud.
[Caroline Walker Bynum, Wonderful Blood. Theology and Practice in Late Medieval Northern Germany and Beyond, University of Pennsylvania, 2007, p. 6]
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In Occidente, "dall'inizio del XIV secolo, si osserva la moltiplicazione dei 'crocifissi dolorosi' (crucifixi dolorosi)" [Bœspflug, op. cit., p. 183].
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In essi, "l'abuso di lunghe strisce di sangue o di grumi pendenti si diffonde sempre più, man mano che ci si inoltra nel XIV secolo" [P. Thoby, Le Crucifix des Origines au Concile de Trent, Bellanger, 1959, p. 184].
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​Cioè man mano che ci si avvicina al momento in cui compare la Sindone.
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Quattro crucifixi dolorosi: Colonia, St. Maria im Kapitol (1300 circa); Perpignan, Cathédrale Saint-Jean-Baptiste (1307); Colonia, St. Severin (1330-1350) [cfr. G. Hoffmann, Das Gabelkreuz in St. Maria im Kapitol zu Köln und das Phänomen der Crucifixi dolorosi in Europa, Wernersche Verlagsgesellschaft, 2006, p. 46], Museo Nazionale di Varsavia (1360 circa).
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I crucifixi dolorosi sono caratterizzati da una croce a Y, detta anche biforcuta o a forcella:
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Intorno al 1300 nacque Oltralpe il crocifisso detto della peste (Pestkruzifixe) o a forcella (Gabelkruzifixe), in cui il Figlio di Dio appare con il corpo e il volto orrendamente deformati, coperto da piaghe e bubboni.[Crocifisso, in Enciclopedia Treccani Online]
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Una variante era costituita da casi come quello di Perpignan, in cui la croce era di tipo tradizionale, ma il Cristo flagellato, collocato molto più in basso della trave orizzontale, assumeva comunque la posizione del corpo a Y.
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Ma non basta.​​
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Pietà Roettgen, metà del XIV secolo, Rheinisches Landesmuseum, Bonn.
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Tra le nuove rappresentazioni del Cristo che testimoniano una devozione particolare per la Passione di Cristo, destinate esse stesse alla contemplazione devota (in tedesco Andacht, da cui il nome degli oggetti corrispondenti, Andachtsbilder), una delle principali, forse la più amata, è senza dubbio la figura della "Madonna della pietà" o Pietà, che mostra il corpo del Cristo disceso dalla croce e disteso sulle ginocchia di sua Madre. Fu il soggetto di numerosi gruppi scultorei. Appare verso il 1300 nella regione renana, dove il gruppo è chiamato Vesperbild, immagine dei vespri, dal nome dell'ufficio celebrato alla fine del pomeriggio, all'ora ritenuta essere quella della discesa dalla croce. Si diffonde in seguito in Borgogna e nella Champagne. [...] La figura del Cristo è in genere dolorosa, come quella di Maria.
[Bœspflug, op. cit., p. 183]
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La Champagne è esattamente la regione francese in cui a metà del secolo comparirà la Sindone.​​​​​​​
E, nel frattempo, nelle zone dell'Oriente in cui secondo le congetture sindonologiche la Sindone avrebbe dovuto trovarsi, queste tendenze artistiche (crucifixi dolorosi e Cristo flagellato nei gruppi scultorei delle Madonne della pietà) erano inesistenti.
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Già solo questi elementi storico-iconografici obiettivi inducono a sospettare che sia stata la Sindone ad adeguarsi ai modelli preesistenti, agevolmente collocabili nel tempo e nello spazio.
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Ma non mancano diverse ulteriori conferme.
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I piedi sovrapposti
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Immagine dorsale dell'Uomo della Sindone (negativo fotografico) e Crocifisso sindonico realizzato negli anni Sessanta del secolo scorso da mons. Giulio Ricci, basandosi sull'aspetto della Sindone.
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Sino al XII-XIII secolo, i piedi del Cristo crocifisso erano rappresentati sempre paralleli o divergenti, rivolti verso l'esterno [cfr. Thoby, op. cit., p. 124].
La posizione dei piedi dell'Uomo della Sindone (ce ne rendiamo conto osservando la figura dal lato dorsale) rimanda ad una crocifissione avvenuta sovrapponendo il piede sinistro al destro.
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Il sindonologo padre Heinrich Pfeiffer, gesuita, che fu professore di Storia dell'arte cristiana presso la Pontificia Università Gregoriana, ha scritto che la
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posizione un po' differente dell'uno e dell'altro piede, che si scorge sulla Sindone, deve aver portato alla rivoluzione più radicale in tutte le rappresentazioni del Cristo Crocifisso: esso viene raffigurato sin dalla fine del XII secolo quasi esclusivamente - e, definitivamente, dalla fine del XIII secolo - non più con quattro chiodi fissati nelle due mani e i due piedi, ma con tre. Un unico chiodo fissa così sul palo della croce i due piedi uno sopra l'altro.
Il Crocifisso di Forstenried è considerato il primo esemplare di questo tipo. Questa scultura fu venerata prima ad Andechs e, solo più tardi, è stata trasportata a Forstenried presso Monaco.
[Heinrich Pfeiffer, Le piaghe di Cristo nell'arte e la Sindone, in L. Coppini, F. Cavazzuti, Le icone di Cristo e la Sindone, San Paolo, 2000, pp. 95-96]
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​​​Ma se la Sindone, come congetturano i sindonologi, nel XII secolo era ancora in Oriente, a Costantinopoli (si veda: Sindone: la storia vera e la storia infondata), come si spiega che questa presunta "imitazione" sia iniziata in Germania?
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​​​​Nessuno sembra averlo mai notato, ma, in realtà, la posizione dei piedi rappresenta un ulteriore fortissimo indizio della natura artistica della Sindone, visto che si tratta di una caratteristica diffusasi proprio a partire dalle regioni dell'Europa centro-settentrionale in cui, in seguito, comparirà la Sindone.
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La tendenza a raffigurare sovrapposti i piedi si sviluppa infatti tra Inghilterra, Germania e Francia nel momento in cui nelle rappresentazioni artistiche si diffonde un nuovo modello di croce, che soppianta quello precedente.
Nel suo storico e tuttora fondamentale studio sull'evoluzione della rappresentazione artistica del crocifisso dalle origini al Concilio di Trento, il devoto studioso cattolico Paul Thoby ricostruisce i motivi della nascita di tale tendenza: "l'artista, in difficoltà per le nuove dimensioni della croce, lunga e stretta, non sa come fissare i piedi di Cristo" [Thoby, op. cit., p. 133]: pertanto, "i piedi incrociati furono imposti dal restringimento del legno della croce" [ivi, p. 156].
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I piedi incrociati si ritrovano in tutte le miniature francesi a partire dalla metà del XIII secolo [cfr. ivi, p. 135].
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Chiodi ai polsi?
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Le mani e gli avambracci dell'Uomo della Sindone: immagine in positivo [Gian Carlo Durante, 2002] e in negativo [Vernon Miller, 1978] (in quest'ultima si ha un'inversione non solo della tonalità di luminosità ma anche della disposizione delle parti, a causa del meccanismo dell'ottica geometrica, su cui si basa il funzionamento delle macchine fotografiche).
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Da almeno un secolo (studi del sindonologo dott. Pierre Barbet) si dice e si ripete che la Sindone, diversamente dall'iconografia tradizionale, reca il segno visibile della trafittura del chiodo nel polso e non nel palmo (naturalmente quello che si vede nella Sindone è il dorso della mano, che costituirebbe quindi il lato di uscita, non di quello di entrata).
La tesi è molto cara ai sindonologi perché tale difformità dalle consuete rappresentazioni artistiche costituirebbe a loro parere un indizio di autenticità.​
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In realtà, si è rivelato impossibile trovare un pieno accordo sul tema anche tra gli stessi sindonologi.
Infatti, com'è noto, secondo l'anatomopatologo e medico legale statunitense Frederick T. Zugibe, l'entrata della trafittura dell'Uomo della Sindone sarebbe da collocare alla base del palmo della mano [F. T. Zugibe, The Crucifixion of Jesus: A Forensic Inquiry, M. Evans, 2005; una sintesi online è disponibile qui]. ​
Aggiungerei che se, come ritengo e suggerisco, la Sindone è stata realizzata da un artista che si è ispirato ai crucifixi dolorosi a lui contemporanei (croci a forcella, quindi), la ferita dovrebbe essere immaginata non verso il centro della macchia ma nella parte posta più in alto (da lì il sangue fluirebbe obliquamente verso il basso).
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Appunto, alla base del palmo della mano, si direbbe.
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Tra l'altro, in alcuni dei crucifixi dolorosi si vedono i chiodi collocati, a quanto pare, proprio alla base del palmo della mano:
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Particolare del crucifixus dolorosus di Kendenick, St. Johann Baptist (XIV secolo).
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Rivoli e contestazioni
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Nel 2018 è stata pubblicata una ricerca sperimentale condotta dall'antropologo forense Matteo Borrini dell'Università di Liverpool e dal chimico Luigi Garlaschelli, già ricercatore presso l'Università di Pavia [M. Borrini, L. Garlaschelli, A BPA Approach to the Shroud of Turin, "Journal of Forensic Science", vol. 64, n. 1, gennaio 2019, pp. 137-143].
Tra le altre cose, gli autori affermano di aver dimostrato che i rivoli presenti sulla parte esterna degli avambracci dell'Uomo della Sindone sarebbero stati realmente possibili solo se gli avambracci stessi si fossero trovati a formare un angolo di oltre 80° rispetto al corpo: in sostanza, avrebbero dovuto essere quasi verticali.
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I sindonologi più in vista hanno prontamente obiettato (quasi sempre con toni accesi: l'unica ​​​reazione pacata è stata quella del co-vicedirettore del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone, dott. Paolo Di Lazzaro) che Borrini e Garlaschelli non hanno considerato l'esistenza di alcune incognite: la viscosità del liquido, la velocità di emissione del sangue dalle ferite, le irregolarità della pelle (tumefazioni, escoriazioni, eventuale villosità), la possibilità che l'Uomo della Sindone si sia mosso sulla croce.
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È tutto interessante, ma d'altro canto è tutto da provare che siano realmente possibili condizioni di viscosità, velocità di emissione e stato della pelle tali da consentire quel tipo di rivoli fino al gomito in un soggetto crocifisso nelle modalità che consideriamo canoniche, così come è del tutto ipotetico che l'Uomo della Sindone si sia mosso nel modo congetturato dai sindonologi.
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Sicuramente rimane un dato di fatto:​​ la presenza di sangue sulla parte visibile ai fedeli delle braccia del Cristo, a fini di pathos e in apparente contrasto con la legge di gravità, è un elemento tipico e ricorrente nei crucifixi dolorosi, a partire da quelli più antichi (si vedano le varie foto pubblicate sopra).
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E questa è una singolare coincidenza, da collocare accanto alle altre.
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Crucifixus dolorosus, Colonia, St. Maria vom Frieden (XIV sec. [cfr. Hoffmann, op. cit., p. 66]).
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Crucifixus dolorosus, Colonia, St. Georg (c. 1380).
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Il corpo di Cristo
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Un particolare si impone: il Cristo flagellato che appare nei crucifixi dolorosi e nelle Pietà occidentali del 1300 è sempre emaciato, quasi scheletrico, mentre il Cristo della Sindone, obiettivamente, non ha questa caratteristica.
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Manca un possibile "anello di congiunzione" con il telo sindonico.
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A fornirci una pista sono i due medievisti cattolici Franco Cardini e Marina Montesano, che notano:​
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L'uomo della Sindone, così come si presenta sul telo di Torino e soprattutto nei rivelatori negativi fotografici, ha i connotati molto caratteristici di un gisant tardogotico.
[Franco Cardini, Marina Montesano, La Sindone di Torino oltre il pregiudizio, Medusa, 2015, p. 99]
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L'osservazione appare di estremo interesse, ma non viene sviluppata ulteriormente dai due accademici.
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Vediamo di farlo noi ora.
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Come è noto, a partire dal X secolo, in occasione della Pasqua, nelle chiese dell'Europa occidentale si organizzavano dei drammi liturgici (Visitatio sepulchri) ambientati nel sepolcro vuoto: l'angelo rivolgeva alle tre Marie la domanda Quem quaeritis? ("Chi cercate?"), e indicava loro un telo che rappresentava la sindone di Gesù. I religiosi che impersonavano le tre donne, in seguito, mostravano il telo ai fedeli.
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In Europa centrale iniziò a diffondersi anche l'uso di statue mobili (asportabili) che nella settimana pasquale rappresentavano i personaggi in questione e lo stesso Cristo:​​
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Insieme a questo tipo di opere comparve l'immagine del Cristo morto, disteso in tutta la sua lunghezza. Scolpita anche in legno, si è largamente diffusa, a quanto sembra, in Germania e nel nord della Svizzera nel corso del XIV secolo, se non prima.
[Sylvie Aballéa, Les saints sépulcres monumentaux du Rhin supérieur et de la Souabe (1340-1400), Presses Universitaires de Strasbourg, 2003, p. 16 (i contenuti del volume sono integralmente disponibili nel sito Open Edition ​delle Presses Universitaires de Strasbourg)]
Cristo appariva come un gisant (in francese letteralmente "giacente"), termine con cui si indica un tipo di scultura (in genere facente parte di un monumento sepolcrale), particolarmente diffuso nella Francia settentrionale dopo l'XI secolo, che veniva collocato nelle chiese e rappresentava, distesa, una persona morta (un nobile, un prelato).
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Il più antico esemplare oggi esistente raffigurante Cristo si trova nell'ex convento cistercense di Wienhausen, in Bassa Sassonia (nella Germania occidentale, quindi non lontano dalla Francia). È datato nel 1290 circa [cfr. ibidem]:
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Il Cristo morto di Wienhausen (scultura in legno del 1290 circa).
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Agli anni tra il 1345 e il 1360 risale l'interessantissimo santo sepolcro ligneo dell'abbazia della Maigrauge a Friburgo, nella Svizzera francese [cfr. ivi, p. 194; si vedano anche le immagini n. 9-10 nel repertorio fotografico​ ​del volume di Sylvie Aballéa]:​​​​​​​​​​​​
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Santo sepolcro, Friburgo, abbazia della Maigrauge (metà del XIV secolo) e particolare del volto di Cristo.
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Ad Oberwesel, nella regione della Renania-Palatinato (Germania occidentale), fu realizzato nella prima metà del XIV secolo questo gruppo scultoreo in legno:​​​
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Santo sepolcro, prima metà del XIV secolo, Oberwesel, chiesa di Unserer Lieben Frau.
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In un'area circoscritta, si diffuse anche un'altra tipologia di santo sepolcro, quello monumentale, costituito da statue in pietra, quindi fisse. Anche in questo caso, Cristo è rappresentato "steso sulla tomba, come un gisant" [ivi, p. 9].
​Poiché solo una piccolissima parte dei santi sepolcri presenti nelle varie chiese (anche di quelli monumentali) si è conservata integra, la storia dell'arte li ha a lungo trascurati.
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Negli ultimi decenni, la studiosa che si è dedicata maggiormente ad approfondire questo tema è la già citata dottoressa Sylvie Aballéa, specialista della scultura della fine del Medioevo, che scrive:
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Il santo sepolcro monumentale è una creazione propria della fine del Medioevo. Apparso nel secondo quarto del XIV secolo, si diffuse nel bacino superiore del Reno e in Svevia.
[Ibidem]
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Il bacino superiore del Reno corrisponde al nord della Svizzera e all'Alsazia, regione storica della Francia non lontana dalla Champagne-Ardenne, dove si trova Lirey e dove comparirà la Sindone (la Svevia è nel sud-ovest della Germania, vicino all'Alsazia).
Non più tardi del 1331, ad Oberwesel, fu realizzato questo gruppo scultoreo in cui Gesù morto ha le mani sul bacino:​​​​​​
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Santo sepolcro, 1301-1331, Oberwesel, chiesa di Unserer Lieben Frau.
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Un altro esemplare di santo sepolcro monumentale si trova a Friburgo in Brisgovia, città della Germania sud-occidentale a 15 chilometri dal confine con la Francia, nella cattedrale di Unserer Lieben Frau (Nostra Signora), e fu realizzato probabilmente dopo il 1343 [cfr. ivi, p. 314 (si veda anche la foto n. 66 del​ repertorio fotografico)]:
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Cristo nel ​santo sepolcro, metà del XIV sec., Friburgo in Brisgovia, cattedrale di Unserer Lieben Frau.
​Intorno all'inizio del XIV secolo aveva cominciato però a diffondersi anche un nuovo modo di rappresentare le mani incrociate di Gesù morto (che comunque non soppianterà mai i precedenti): una mano copre interamente il dorso dell'altra, sul ventre o sul pube.​
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Epitaphios di Michele Cipriano, 1300-1350, Princeton University Art Museum e Scene della Passione, 1320-1330,
Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst, Berlino.
Questa nuova tendenza è evidente in alcuni santi sepolcri della metà del XIV secolo (Haguenau e di Schwäbisch Gmünd) e anche nella Sindone, come ben sappiamo.
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Il santo sepolcro monumentale di Haguenau, in Francia (Alsazia), si trova nella chiesa di Saint-Nicolas [cfr. ivi, p. 318; si veda anche l'immagine n. 51 del repertorio fotografico]:
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Santo sepolcro e Cristo morto, metà del XIV sec., Haguenau, chiesa di Saint-Nicolas. Le mani sono sovrapposte (sul ventre, a differenza della Sindone), il corpo è muscoloso è ben proporzionato, come nella Sindone.​
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Ugualmente alla metà del secolo risale il santo sepolcro della cattedrale di Santa Croce (Heilig-Kreuz) a Schwäbisch Gmünd, nella Germania sud-occidentale [cfr. ivi, p. 334 (si veda anche la foto n. 67 del repertorio fotografico)].
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Santo sepolcro, metà del XIV sec., Schwäbisch Gmünd, cattedrale di Heilig-Kreuz.
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Quanto alla nudità del Cristo della Sindone, essa rispondeva ad un'esigenza di tipo pratico, per così dire, in quanto, in una logica artistica, si tratterebbe di un'immagine lasciata sul telo sindonico direttamente dal corpo.
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Abbiamo peraltro già visto (Una prova dell'esistenza della Sindone prima del XIV secolo? L'illusione del Codice Pray) che la nudità era tutt'altro che insolita nelle rappresentazioni artistiche del Cristo morto in quell'epoca.
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Licenze artistiche?
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Nel lontano 1939, nel primo Convegno nazionale sulla Sindone, l'archeologo cattolico Carlo Cecchelli notava che l'immagine sindonica sembra essere stata generata sul telo perfettamente teso (il che sembrerebbe incompatibile con un suo supposto uso reale):
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Perché, comunque si voglia immaginare la disposizione del drappo, l'immagine sembra stampata, e non vi sono scarti o deformazioni per le inevitabili pieghe?
[Carlo Cecchelli, Rapporti fra il Santo Volto della Sindone e l’antica iconografia bizantina, in AA. VV., La Santa Sindone nelle ricerche moderne, L. I. C. E. - R. Berruti & Co, 1950, p. 164]
Inoltre:
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E perché, malgrado il suo realismo, vi sono parti che si direbbero stilizzate, come le mani troppo lunghe e di carattere troppo primitivo?
[Ibidem]
A tal proposito, nel 1980, Marc Blanc notava:
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Le due mani del personaggio sono incrociate sul pube, la mano sinistra sopra la mano destra. Ebbene, della mano in basso, si vedono solo le dita: sono smisuratamente lunghe. E, inoltre, l'indice è uguale al medio, o anche leggermente più lungo. Ciò conferisce a questa mano un aspetto del tutto innaturale.
[Marc Blanc, Le suaire est l'œuvre d'un faussaire, "L'Histoire", n° 20, febbraio 1980, p. 112]
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Il sindonologo professor Giulio Fanti cerca una spiegazione:
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Le dita delle mani appaiono allungate, probabilmente a causa della distorsione dell'immagine causata dall'avvolgimento del lenzuolo.
[Giulio Fanti, Pierandrea Malfi, Sindone: primo secolo dopo Cristo!, Segno, 2020, p. 20]
​​
​Questa è una generica ipotesi ad hoc, non una dimostrazione. Inoltre, è completamente in contrasto con altre presunte caratteristiche miracolose dell'immagine, come l'assenza di "deformazioni per le inevitabili pieghe" di cui parlava Cecchelli. Strano poi che la supposta distorsione equipari la lunghezza di due dita adiacenti.
​
​
In realtà, non si può non notare che le dita delle mani, con le loro articolazioni, sono notoriamente tra le parti anatomiche più difficili da realizzare e prima dell'età rinascimentale gli artisti non conoscevano le tecniche necessarie per un'efficace resa realistica ("il genere umano ha impiegato migliaia di anni per comprendere come rappresentare in maniera convincente piedi e mani" [E. Armer, Drawing Hands and Feet, Search Press, 2019, p. 8]).
​
​
Non a caso, lo storico dell'arte Louis-Antoine Prat, nel suo romanzo L'amateur d'absolu, fa dire a un suo personaggio che, “nel Medioevo, se si volevano le mani nel proprio ritratto, bisognava pagare il doppio del prezzo". ​
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Le dita innaturalmente affusolate e, spesso, la poco marcata differenza di lunghezza tra gli indici e i medi sono caratteristici delle raffigurazioni artistiche medievali, come si può vedere dai seguenti esempi che ho personalmente raccolto:
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Corteo di Teodora (dettaglio), 520 ca. – 547 ca., mosaico, Basilica di San Vitale, Ravenna.
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I Re Magi a colloquio con Erode, scultura in avorio, fine dell'XI secolo - inizio del XII, Museo diocesano, Salerno.
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Maestro di Cesi, Assunzione della Vergine, 1295-1305, Musée de l'Île-de-France, Saint-Jean-Cap-Ferrat.
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Pietro Lorenzetti, polittico (dettaglio), 1320, Santa Maria della Pieve, Arezzo.
​​​
Simone Martini, La Vergine annunciata, 1340 circa, Koninklijk Museum, Anversa.​​
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Le dita dell'Uomo della Sindone appaiono quindi obiettivamente analoghe a quelle tipiche delle rappresentazioni artistiche medievali.​​​
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Il volto del filosofo​
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In sequenza: busto di Cristo dipinto nelle catacombe di Commodilla, a Roma, fine del IV secolo; due esempi di Cristo Pantokrator (onnipotente, benedicente con la mano destra), rispettivamente del VI e del XII secolo, provenienti dal monastero di Santa Caterina del Monte Sinai; il volto della Sindone (negativo fotografico).
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​
In merito alla questione iconografica, può essere interessante porsi anche un'altra domanda: il volto del Gesù della Sindone è storicamente fondato?
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Cominciamo con il dire che abbiamo poche certezze su come gli uomini ebrei portassero la barba e i capelli nella Terra di Israele romanizzata, nel I secolo d. C.
Il professor Marvin Wilson, già docente di Studi Biblici e Teologici presso il Gordon College di Wenham, fa il punto sulle nostre (incerte) conoscenze a tale proposito:​
​
Ai tempi di Gesù, la lunghezza dei capelli e lo stile della barba dovevano variare, determinati in una certa misura dalle consuetudini accettate dell'epoca.
[Marvin R. Wilson, The Appearance of Jesus: Hairstyles and Beards in Bible Times, "Jerusalem Perspective", n. 41, Novembre-Dicembre 1993, p. 12]
​​​Tuttavia, possiamo dire che il volto che compare nella Sindone, con la barba lunga, i capelli lunghi fino alle spalle e la riga in mezzo, è conforme alla rappresentazione di Cristo che aveva cominciato a diffondersi nell'iconografia nella seconda metà del IV secolo.
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​
I sindonologi, rifacendosi alle interpretazioni elaborate all'inizio del Novecento dal biologo e filosofo Paul Vignon (di fatto il fondatore della sindonologia), partono anche in questo caso dal presupposto, del tutto indimostrato, che certe analogie iconografiche siano segno di una derivazione dalla Sindone:
​
​
Osservando il volto dell'Uomo della Sindone, infatti, è possibile individuare numerosi elementi di irregolarità che si ripetono nelle immagini dipinte di Cristo: questi non sono attribuibili semplicemente alla fantasia degli artisti. Essi inoltre permettono di ipotizzare, con un elevato grado di certezza, che le antiche raffigurazioni del volto di Cristo dipendano dalla venerata reliquia.
[Caccese, Marinelli, Provera, Repice, op. cit., p. 62]
​​
Ovviamente non è così: le analogie indicano certamente l'adesione a determinati schemi iconografici ma, di per sé, non chiariscono i rapporti di paternità e derivazione.
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​
​​L'ipotesi sindonologica in questione è anzi smentita da tutti i dati di tipo storico di cui disponiamo (e, come vedremo subito dopo, diversamente da ciò che affermano i sindonologi, non ha nessun supporto di tipo scientifico).
Sicuramente nel IV secolo nessuna fonte nota aveva ancora mai fatto il minimo cenno all'esistenza dell'immagine sindonica (non si aveva notizia nemmeno del Mandylion, che l'ardita tesi dei sindonologi che abbiamo esaminato nella pagina Sindone: la storia vera e la storia infondata vorrebbe far coincidere con la Sindone).
​
La rappresentazione del volto di Gesù di cui stiamo parlando (barba e capelli lunghi, riga in mezzo) è inoltre, a quanto sembra, puramente convenzionale.
​
​
Nella Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi​​​​ [1Cor 11, 14-15] si legge:
​
Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere?
​
Altamente improbabile, quindi, che nel primo secolo esistesse una tradizione sulla lunga capigliatura di Gesù.
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​
All'inizio del V secolo, sant'Agostino, nel suo trattato De Trinitate, ci dice chiaramente che nessuno sapeva quale fosse il vero aspetto di Gesù:
​
​​​
Ogniqualvolta noi crediamo a delle realtà sensibili di cui abbiamo sentito parlare e di cui abbiamo letto, ma che non abbiamo visto, è una necessità, per la nostra anima, farsi, conformemente a ciò che si presenta all’immaginazione, un’immagine dei contorni e delle forme corporee. [...] Lo stesso viso del Signore varia all’infinito, secondo le diverse rappresentazioni che ciascuno se ne fa, e tuttavia era uno solo, qualunque esso fosse. Ma ciò che è salutare nella fede che noi abbiamo circa il Signore Gesù Cristo, non è ciò che l’anima si rappresenta, forse in maniera molto diversa dalla realtà, ma ciò che pensiamo dell’uomo secondo la natura specifica.
[Agostino d'Ippona, De Trinitate, VIII, 4]
Com'è nata, allora, la tipologia iconografica del volto di Gesù a tutti nota?
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​
Scrive il prof. Bœspflug:
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​
Due tipologie principali di Cristo coesisteranno per circa due secoli, talvolta nello stesso edificio, come a Santa Costanza. Da una parte un Cristo barbuto, d'età matura, che fa una sporadica comparsa nelle catacombe di Callisto e in quelle di Commodilla e si diffonde verso la fine del IV secolo. È ispirato, tra l'altro, al modello antico del filosofo che insegna. [...] Dall'altra, una figura di Cristo imberbe, d'età variabile...
[Bœspflug, op. cit., p. 81]
​
​
​​Quanto alla tipologia che si affermerà definitivamente (quella del Cristo barbuto), anche Paul Zanker, professore emerito di Storia dell'arte classica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ha sottolineato come essa coincida con l'aspetto che nei territori dell'impero romano, a partire dalla seconda metà del I secolo d. C., connotava i filosofi carismatici, considerati "uomini divini", maestri di moralità e dotati di una sapienza innata (si tratta di un aspetto a sua volta verosimilmente influenzato da quello tradizionalmente attribuito a Zeus nella scultura greca).
​
​​​​
Immagini tratte dal libro del prof. Paul Zanker "La maschera di Socrate. La figura dell'intellettuale nell'arte antica" (pp. 292 e 351).
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Osserva Zanker che, nelle fonti letterarie latine e greche del tardo I secolo e del II secolo d. C.,"oltre che della barba si sente parlare di questi capelli lunghi come qualcosa di speciale" [P. Zanker, La maschera di Socrate, Einaudi, 1997, p. 291] e "pensando ai ritratti tardo-antichi di filosofi e del Cristo, è interessante il fatto che in molte di queste teste la fronte alta sia accentuata da una scriminatura centrale" [ivi, p. 293].
​
​
Inoltre, "che Cristo venisse raffigurato nell'immagine del mastro-filosofo era cosa tutt'altro che scontata, e niente affatto fondata nelle Scritture in tale forma" [ivi, p. 330].
Nell'arte cristiana, "all'infuori di Cristo, solo i profeti, gli evangelisti e alcuni personaggi del Vecchio Testamento dotati di particolare autorità come Abramo e Melchisedec vengono raffigurati con i capelli lunghi e la barba imponente; a differenza che per Cristo, però, le barbe e i capelli di costoro sono spesso grigi o meno curati" [ivi, pp. 341-342].
Un esempio di tutto ciò è rappresentato dal Mosaico della Trasfigurazione (VI sec. d. C.), nel monastero di Santa Caterina sul monte Sinai:
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​
Zanker evidenzia la differenza tra la la pettinatura, lunghezza dei capelli e della barba di Cristo e dei profeti, contrapposte a quelle degli altri personaggi:
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​
Cristo si libra tra Elia e Mosé: tutti e tre sono raffigurati nello schema ritrattistico degli "uomini divini" ma, a differenza dei profeti, che poggiano per terra, Cristo appare nella mandorla. I discepoli ai suoi piedi e gli apostoli, invece, così come molti dei santi e dei credenti nei tondi, sono raffigurati secondo l'iconografia tradizionale degli intellettuali greci.
[Ivi, p. 342]
Alcune tradizioni orali sull'aspetto fisico di Gesù comparse nel Medioevo, che confermano l'iconografia in questione, hanno scarso valore per la loro origine tarda.
Di converso, è interessante il fatto che tale iconografia fino a tutto il VII secolo abbia incontrato resistenze.
Ad esempio, verso la fine del IV secolo, in una lettera all'imperatore Teodosio tramandata sotto il nome di Epifanio di Salamina, si legge:
​
​
Essi, sulla base di una supposizione, dipingono il Salvatore con una lunga capigliatura, poiché è chiamato Nazareno e i nazareni [nazirei] portano i capelli lunghi. Ma chi cerca di attribuirgli questa caratteristica sbaglia: infatti il Signore beveva vino, a differenza dei nazirei che non lo bevevano.
[Epifanio di Salamina, Lettera all'imperatore Teodosio, ed. H. G. Thümmel, Die Frühgeschichte der ostkirchlichen Bilderlehre: Texte und Untersuchungen zur Zeit vor dem Bilderstreit, De Gruyter, 1992, p. 301; cfr. M. Bacci, The Many Faces of Christ. Portraying the Holy in the East and West, 300 to 1300, Reaktion Books, 2014, p. 211]
L'argomento usato da Epifanio per negare l'ipotesi che Gesù avesse fatto voto di nazireato non è di per sé risolutivo, ma la sua testimonianza oppositiva è un'ulteriore dimostrazione dell'assenza di una tradizione o fonte considerata autorevole a sostegno di quella tipologia iconografica.
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​
Per diversi secoli, nel Vicino Oriente fu diffusa una tipologia alternativa del volto di Cristo, con tratti mediorientali, barba corta, capelli corti, ricci e senza riga.
​​​​
​​La perduta Historia ecclesiastica di Teodoro Anagnosta (o "il Lettore"), del VI secolo, è da noi in parte conosciuta tramite estratti riportati da autori successivi. ​Nell'VIII secolo il teologo Giovanni Damasceno riporta un passo dell'opera in questione nella sua Difesa delle immagini sacre:
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Ad un pittore che dipingeva l'immagine del Signore Cristo le mani si erano congelate. E si diceva che l'opera dell'immagine ordinata da un elleno, sotto l'apparenza del nome del Salvatore aveva raffigurato i capelli separati sulla testa dall'una e dall'altra parte, in modo che il volto non era coperto - infatti con tale figura i figli degli Elleni dipingono Zeus...
[Giovanni Damasceno, Contra imaginum calumniatores, III, 130, ed. a cura di V. Fazzo, Difesa delle immagini sacre, Città Nuova, 1997, p. 188]
Teodoro sottolinea che "uno dei cronisti dice che ​​l'altra forma di ritratto del Salvatore, ossia con i capelli crespi e corti, è la più veritiera" [Teodoro Anagnosta, Historia ecclesiastica, I, 15, ed. a cura di G. C. Hansen,​​​​​​​​​ Theodoros Anagnostes Kirchengeschichte, Akademie Verlag, 1971, p. 107; cfr. Bacci, op. cit., p. 116].
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​​​
Lo stesso imperatore bizantino Giustiniano II, che nel corso del suo primo regno (terminato nel 695) aveva fatto rappresentare su diverse monete il volto di Cristo secondo la tipologia dominante, poi, durante il suo secondo regno (705-711), lo fece rappresentare secondo la tipologia alternativa:
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Moneta fatta coniare da Giustiniano II durante il suo secondo regno (705-711) raffigurante Gesù secondo la tipologia mediorientale, con barba corta e capelli corti e ricci.​
​​
​
Lo specialista professor Michele Bacci, docente di Storia dell'arte medievale presso l'Università di Friburgo, sintetizza la situazione scrivendo che le testimonianze storiche relative a tale tipologia iconografica alternativa ci consentono di sostenere che essa
​
​
era radicata specialmente nell'area siro-palestinese e più specificamente nelle comunità del Vicino Oriente di rito siriano e copto; che era condivisa da gruppi differenti (copti, greco-ortodossi, siro-occidentali e nestoriani) dell'area, indipendentemente dalle loro divisioni confessionali; e che era considerata sufficientemente autorevole da spingere un imperatore bizantino a promuoverla come ritratto ufficiale di Cristo in deliberato contrasto con la più consueta tipologia dai lunghi capelli.
[Bacci, op. cit., p. 139]
In sostanza, fino a tutto il VII secolo, nel Vicino Oriente era diffusa un'iconografia del volto di Gesù completamente diversa da quella predominante nelle aree in cui era più forte l'influsso della tradizione culturale greco-latina. Fu quest'ultima ad affermarsi poi globalmente e si ritrova anche nella Sindone.
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​
​
La scienza del vedere ciò che si desidera
​​​​​​
Cristo Pantokrator su un solidus, una delle monete fatte coniare da Giustiniano II tra il 692 e il 695.​​
​
​
Per cercare di dimostrare che il volto di Gesù con barba, capelli lunghi e riga al centro dipende dalla Sindone (il che è radicalmente smentito da tutti gli argomenti di tipo storico, come abbiamo visto), i sindonologi fanno leva anche su argomenti che al pubblico meno avveduto possono apparire scientifici.​
In maniera particolare, i sindonologi fanno tuttora sistematicamente riferimento a uno studio pubblicato nel 1985 dallo psichiatra Alan Whanger, con la collaborazione della moglie Mary (ex insegnante elementare).​​​
​​
​
​I coniugi Whanger, che ambivano a dare una veste scientifica alle teorie di Vignon, elaborarono una tecnica di sovrapposizione delle immagini (tramite luce polarizzata) che usarono per confrontare il volto di Gesù della Sindone con il Cristo Pantokrator del Monastero di Santa Caterina del Monte Sinai (VI sec.) e con quello che si trova su alcune monete fatte coniare da Giustiniano II a partire dal 692.​​​​​​​​​​​​​​​
​
​
Moneta sottoposta da Alan Whanger a confronto con la Sindone tramite sovrapposizione in luce polarizzata. Si tratta di un Gesù Pantokrator su un solidus tagliato di Giustiniano II (692-695), probabilmente facente originariamente parte di un monile (immagine tratta da Alan D. Whanger, "Icone e Sindone", in L. Coppini, F. Cavazzuti, "Le icone di Cristo e la Sindone", San Paolo, 2000, p. 147).
​
Premettiamo che, tra le zecche bizantine, nella seconda metà del VII secolo, "solo Costantinopoli, Cartagine, Siracusa, Roma e Ravenna rimasero in funzione" [A. Castellotti, Le zecche bizantine, "Panorama numismatico", n. 83, 1995, p. 21]: tutte città lontanissime dai luoghi in cui le congetture sindonologiche hanno immaginato la Sindone in quel secolo.
​
​
Nonostante questo, Alan Whanger vuole sostenere di aver dimostrato che l'incisore ha copiato il volto della Sindone, con quest'argomentazione:
​
Abbiamo riscontrato oltre 145 punti di corrispondenza tra il solidus di Giustiniano II e l'immagine del volto della Sindone (fig. 1 c). Si tenga presente che il volto coniato sulla moneta è di soli 9 mm dal limite superiore della testa fino alla punta della barba. Non essendo riusciti a trovare metodi soddisfacenti per confermare statisticamente questa osservazione, utilizzammo il metodo forense per determinare l'identità o l'origine delle sembianze facciali, che è data da 45 o 60 punti di corrispondenza. Di conseguenza il reperimento di 145 punti di corrispondenza fra l'immagine del volto sulla moneta bizantina e di quello della Sindone non può essere un puro caso e la possibilità che non corrispondano nella realtà è infinitesimale.
[A. D. Whanger, Icone e Sindone. Confronto mediante tecnica di polarizzazione di immagine sovrapposta, in Coppini, Cavazzuti, op. cit., p. 147]
Già si possono rilevare due motivi di perplessità nelle parole di Whanger.
​
Il primo è che, anche se l'incisore avesse realmente avuto sotto gli occhi la Sindone, non sarebbe mai riuscito a riprodurre 145 elementi identici su un'immagine di 9 millimetri, pur volendo. Questo è chiaro a tutti.
​
Il secondo è che le somiglianze tra la Sindone e la moneta evidenti a occhio nudo appaiono vaghe e generiche e sembrerebbero provare solo il rifarsi ad una medesima tipologia iconografica (risalente al IV secolo, come sappiamo).
​​Emanuela Marinelli, nella relazione redatta con altri tre studiosi autenticisti e presentata nel 2017 al Congresso Internazionale sulla Sindone tenutosi a Pasco, Washington, USA, scrive:
​​​​
​
La tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata ha dimostrato che il volto sindonico combacia in più punti con quello, opportunamente ingrandito, del Pantocrator raffigurato sulle monete. Sono stati evidenziati oltre 140 punti di congruenza, cioè punti di sovrapponibilità, con il solidus e con il tremissis del primo regno di Giustiniano II. Queste corrispondenze soddisfano ampiamente i criteri forensi statunitensi, secondo i quali sono sufficienti da 45 a 60 punti di congruenza per stabilire l'identità o la similarità di due immagini.
[Caccese, Marinelli, Provera, Repice, op. cit., p. 67]
A dire il vero, l'antropometria forense mira a verificare l'identità di un soggetto (ad esempio, se la persona che appare in due fotografie è la medesima), non di due immagini (cosa per la quale i punti coincidenti dovrebbero essere teoricamente infiniti).
​
​
​​​Ma vediamo in particolare cosa scrivono due sindonologi impegnati in prima linea negli studi autenticisti di ambito scientifico.
​
​
Giulio Fanti, professore associato di Misure termiche e meccaniche presso l'Università di Padova, in un suo libro pubblicato con una casa editrice religiosa evidenzia l'importanza (a suo giudizio) dei "più di cento punti di congruenza determinati dallo studioso A. Whanger" [Fanti, Malfi, op. cit., p. 128] e sottolinea che lo studio in questione fu pubblicato su "una rivista scientifica internazionale con revisori qualificati" [ivi, p. 149] (più precisamente, Applied Optics).
​
Liberato De Caro, di professione fisico del CNR, anche lui in un libro pubblicato con una casa editrice religiosa, fa riferimento all'altro confronto operato dai Whanger, quello con l'icona del Sinai, che avrebbe dato risultati ancor più strabilianti:
​
Con la tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata, infatti, è stato dimostrato che il volto sindonico presenta 250 punti di congruenza con quello, opportunamente ingrandito, del Cristo Pantocratore del Monastero di Santa Caterina del Sinai (Egitto), soddisfacendo ampiamente il criterio forense statunitense, per il quale sono sufficienti da 45 a 60 punti di congruenza per stabilire l'identità o similarità di due immagini.
[Liberto De Caro, Il volto svelato, Centro Editoriale Valtortiano, 2021, pp. 328-329]
​
​Al di là della ripetizione del riferimento improprio all'identità di due immagini, se le cose stessero così le fisionomie della Sindone e del Pantokrator, con 250 punti in comune, dovrebbero essere pressoché indistinguibili. Il che palesemente non è.
​​​
​​
La verità è che la ricerca sindonologica dei coniugi Whanger non ha mai avuto (e mai avrebbe potuto avere) una validazione scientifica, per i motivi che ora vedremo.
​
​
Preliminarmente, è utile documentare un episodio.
​​
​
Nel 2013, ​​​​​Joseph N. Mait, direttore di Applied Optics, in un suo editoriale, scrive di un sondaggio condotto tra lettori, autori, revisori e redattori della rivista. Ne emerge come alcuni di essi lamentino il fatto che​
gli articoli non sono scientifici (in realtà prendo questo come un commento positivo perché Applied Optics non è una rivista scientifica ma applicativa), contengono analisi scadenti...
[Joseph N. Mait, OSA’s Review of Applied Optics, "Applied Optics", vol. 52, n. 4, 2013, p. ED3]
​​
Ciò che Mait ci sta dicendo è che alla rivista interessa soprattutto l'utilità pratica di una tecnica.
La tecnica proposta dai coniugi Whanger fu evidentemente giudicata di per sé degna di attenzione (anche se poi non ha avuto molta fortuna) perché applicabile in diversi campi di ricerca:
La tecnica dovrebbe essere utile per esaminare e confrontare fotografie ad alta quota e satellitari. Dovrebbe poi essere utilizzata anche in campo numismatico, archeologico, di analisi artistica, radiografico e forense.
[Alan D. Whanger, Mary Whanger, Polarized image overlay technique: a new image comparison method and its applications, "Applied Optics", vol. 24, n. 6, 1985, p. 771]
​​
Il modo in cui i Whanger avevano, nel caso specifico, letto e interpretato i dati ottenuti, applicandoli ad una sorta di riconoscimento facciale, era, per la rivista, un elemento del tutto accessorio.
Per noi, invece, è un elemento di interesse primario.
Diciamo subito che nello studio i coniugi Whanger non definiscono in termini obiettivi e inequivocabili (e quindi scientifici) cosa siano quelli che essi chiamano punti di congruenza.
Li definiscono "identità e somiglianze":
Abbiamo chiamato punti di congruenza queste identità e somiglianze, come la posizione delle macchie di sangue, la forma dei capelli, le narici, le zone tonalmente sfumate, la posizione delle iridi degli occhi, la riproduzione delle pieghe della Sindone.
[Whanger e Whanger, Polarized image overlay technique, cit., p. 767]
​​
E ​chi stabilisce quando due segni o due punti si somigliano o non si somigliano?
​​
​
Inoltre, contare indiscriminatamente i punti di sovrapposizione di due volti non è riconosciuto come un sistema valido.
​
L'antropologia forense fa infatti ricorso a dei punti-chiave predeterminati, i landmarks:
​
​
I landmarks (punti di riferimento) facciali sono impiegati in molte aree di ricerca come, principalmente, il riconoscimento facciale, l'identificazione craniofacciale e la stima dell'età e del sesso. In ambito forense l'attenzione è rivolta all'analisi di un particolare insieme di landmarks facciali, definiti punti di riferimento cefalometrici.
[L. Faria Porto et al., Automatic Cephalometric Landmarks Detection on Frontal Faces: Approach Based on Supervised Learning Techniques, "Digital Investigation", vol. 30, September 2019, p. 108]
Il numero dei landmarks varia secondo i protocolli applicati, ma sono nell'ordine di poche decine (ad esempio, se ne utilizzano 34 nella ricerca di Lee et al.​​​​​ A Preliminary Study of the Reliability of Anatomical Facial Landmarks Used in Facial Comparison, "Journal of Forensic Sciences," vol. 64, n. 2, 2019, pp. 519-527).
La procedura applicata dai Whanger è pseudoscientifica perché è normale che volti diversi, sovrapposti, possano presentare un alto numero di punti combacianti con una certa approssimazione.
​​
​
Diamone una piccola dimostrazione pratica.
Un canale Youtube cattolico (Maria Vision) ha prodotto nel 2022 un video apologetico sulla Sindone con un finale a effetto in cui si vede il volto sindonico sovrapporsi gradualmente a quello dell'attore (Selva Rasalingam) che impersona Gesù nel film statunitense del 2014 The Gospel of John.
​
​
La sovrapposizione risulta sostanzialmente perfetta. Ma non c'è niente di stupefacente in questo.
​
​​
C'è stato perfino chi, con questo sistema, ha pensato di aver dimostrato la bizzarra tesi che la Sindone sia opera di Leonardo da Vinci (nato un secolo dopo la comparsa della Sindone a Lirey), sol perché le linee di contorno del viso della Gioconda si armonizzano con quelle della Sindone.​​​​​​​​
​
​
L'insignificante dimostrazione del fatto che il volto della Gioconda e quello della Sindone possono essere sovrapposti (elaborazioni grafiche di Guglielmo Menegatti).​​​​
​​​
​
​Quanti punti di congruenza avrebbero trovato i Whanger tra la Sindone e Selva Rasalingam o la Gioconda?
​
​
Per comprendere meglio il modo parascientifico con cui i coniugi Whanger lavoravano è utile leggere il libro che essi hanno pubblicato (tredici anni dopo l'articolo su Applied Optics) con una casa editrice religiosa di stampo evangelico (i due erano e rimasero membri attivi della chiesa metodista Duke Memorial di Durham, in Nord Carolina).
​
​
Nel libro forniscono molte informazioni supplementari, e scopriamo così che essi applicarono la loro tecnica anche alle immagini di due altorilievi di divinità pagane rinvenuti dagli archeologi nella città di Dura Europos, nell'attuale Siria: uno Zeus Kyrios databile con precisione all'anno 31 d. C. e un dio Aphlad del 54 d. C.:
​
Usando la Tecnica di Polarizzazione di Immagine Sovrapposta, abbiamo confrontato l'immagine del volto di Zeus Kyrios con quella della Sindone di Torino e abbiamo trovato un'ottima corrispondenza con 79 punti di congruenza. Abbiamo trovato 67 punti di congruenza tra l'immagine del volto di Aphlad e quella della Sindone.
[M. Whanger, A. Whanger, The Shroud of Turin: An Adventure of Discovery, Providence House Publishers, 1998, p. 43]
​
Immagine tratta da M. Whanger, A. Whanger, "The Shroud of Turin", Providence House Publishers, 1998, p. 40.
​​
​
Questo dovrebbe automaticamente provare l'inaffidabilità della loro applicazione del metodo, ma i Whanger, fondendo fanta-scienza e fantastoria, giocano clamorosamente al rialzo:
​
​
Abbiamo potuto dimostrare che queste immagini sono buone o eccellenti derivazioni dell'immagine del Mandylion/Sindone.
[Ivi, p. 39]
​
​​
​Essi concludono, a proposito dei devoti di quelle due divinità pagane:
​
​
Questa incorporazione dell'aspetto fisico di Gesù nell'aspetto delle loro divinità probabilmente non poneva nessun problema per loro.
[Ibidem]
​Quindi, secondo i Whanger, nel 31 d. C., quando non sappiamo nemmeno se Gesù fosse morto e quando i suoi seguaci erano un manipolo di persone, in Siria si modellava il volto di Zeus su quello della Sindone.
Concetti veramente strabilianti.
​
​
La notoria verità storica è che Zeus era raffigurato con i capelli lungi, la riga al centro e la barba già diversi secoli prima della nascita del Cristianesimo.​​​ Il fatto che a Dora Europos fosse raffigurato così è quindi perfettamente normale.
​
​
Zeus di Mylasa (350-340 a. C.), Museum of Classical Archaeology, Cambridge.
I Whanger, ingrandendo a dismisura le fotografie della Sindone su cui lavoravano (copie delle foto scattate da Giuseppe Enrie nel 1931), evidentemente non consapevoli del fenomeno della pareidolia, in varie macchie informi ritennero di aver trovato tutto ciò di cui si misero in cerca (la forma di un amuleto che sarebbe stato posto sul corpo di Gesù dai soldati romani per deriderlo, le immagini di 28 piante che crescono in Palestina, di un chiodo della crocifissione, di un martello, di una lancia, dei dadi con cui i soldati romani si sarebbero giocati le vesti di Gesù, della spugna che, secondo i vangeli, fu intrisa di aceto e avvicinata con una lancia alla bocca di Gesù crocifisso, ed altro ancora).
​​
Immagini tratte M. Whanger, A. Whanger, "The Shroud of Turin", Providence House Publishers, 1998, pp. 69 e 75.​​​​​
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*****​
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Il Cristo Pantokrator su un solidus di Giustiniano II e il volto di The Mystery Man, ricostruzione iperrealistica dell'Uomo della Sindone realizzata nel 2022 in Spagna.
​​​
​
Negli ultimi decenni anche altri noti sostenitori dell'autenticità della Sindone hanno cercato di usare strumenti tecnici per confermare le tesi di Vignon, ma sono incorsi nello stesso errore dei coniugi Whanger: quello di non seguire protocolli scientifici nelle fasi di pianificazione, attuazione e valutazione delle ricerche.
​
​
L'ultimo tentativo risale al 2014, quando il professor Fanti in un suo libro ha scritto di vedere, sui millimetrici volti raffigurati con l'imperfetta coniatura d'epoca bizantina, segni di percosse e sevizie corrispondenti a quelli presenti sulla Sindone [cfr. Fanti, Malfi, op. cit., pp. 126-127 e 148].
​
Nessun altro sindonologo ha aderito alla sua visione e la teoria non ha avuto seguito: infatti, si tratta di segni che non sono obiettivamente percepibili e distinguibili.
Fanti ritiene di vedere anche due lacrime sul volto di Gesù presente su una moneta ancor più piccola del solidus, un semissis (che "sembra forse evidenziare anche due lacrime sotto l'occhio destro" [ivi, p. 123]) e una lacrima sul volto della Sindone (anche se "non è molto evidente sull'immagine sindonica" [ivi, p. 124]).
​​​
​​
​Non si può non terminare la presente pagina con una domanda analoga a quella con cui abbiamo chiuso la precedente: se esistessero reali indizi storici dell'esistenza della Sindone prima del XIV secolo, ci sarebbe bisogno di ricorrere ad argomentazioni di questo tipo?
​
Continua
​Marco Corvaglia
​Pubblicato il 14 ottobre 2024. ​​Certificato di anteriorità Copyright.eu ​
n° IPSO20241014133251CVR, verificabile pubblicamente sul sito Copyright.info.
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